Il disastro di Stava

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La Val di Fiemme è una delle principali valli dolomitiche e si estende per circa 35 km nel Trentino nord-orientale, tra i monti del Lagorai, il gruppo del Latemar e le Pale di San Martino. Percorsa dal torrente Avisio, che nasce dalla Marmolada e confluisce nell’Adige, la Val di Fiemme è segnata da numerose valli laterali, tra le quali la Val di Stava che nel 1985 fu teatro di uno degli eventi geo-idrologici più catastrofici che hanno interessato il nostro paese. Il 19 luglio, in piena stagione turistica, una disastrosa colata di fango, originatasi dal crollo improvviso dei due bacini di decantazione della miniera di fluorite di Prestavèl, investì in pieno l’abitato di Stava (Tesero, TN) e scese lungo il corso dell’omonimo torrente fino ad esaurirsi nel torrente Avisio, oltre 4 km più a valle. Nel disastro persero la vita 268 persone, circa 30 rimasero ferite e i senzatetto furono circa un centinaio.
Le prime notizie di attività mineraria sul monte Prestavèl risalgono al XVI secolo, ma lo sfruttamento a livello industriale per l’estrazione di fluorite iniziò soltanto nel 1934. Fino al 1961 la separazione della fluorite dalle altre rocce con le quali si trova in natura, era effettuata mediante un sistema gravimetrico. Attorno al 1960 la società Montedison, che in quegli anni gestiva la miniera, decise di adottare un metodo di separazione più efficace, la flottazione. Tale metodo si basa sulla proprietà dei materiali ridotti in polvere finissima di aggregarsi all’acqua, aiutati in questo dall’aggiunta di particolari sostanze chimiche. Le miscele di polveri, acqua e agenti chimici vengono immesse in vasconi, chiamati celle di flottazione, nei quali viene iniettata aria che induce la formazione di una densa schiuma. Le sostanze chimiche favoriscono l’aderenza delle particelle di minerale alle bolle di schiuma che le trascinano verso la superficie, mentre i fanghi di scarto vengono convogliati in appositi bacini di decantazione. Mano a mano che il fondo dei bacini cresce, gli argini vengono progressivamente innalzati.

Schema di funzionamento dell’idrociclone per l’innalzamento degli argini dei bacini di decantazione. Foto tratta da Archivio Fondazione Stava 1985

A-Idrociclone

In questo modo, a partire dal 1961, poco a monte dell’abitato di Stava, venne costruito il primo bacino della miniera di Prestavèl, il cui argine nel 1969 era arrivato a superare i 25 metri, contro i 9 previsti nel progetto originale. In quell’anno la miniera sembrava prossima all’esaurimento e per continuare le attività si decise di sottoporre nuovamente a flottazione i limi depositati sul fondo del bacino, costruendo a questo scopo un secondo invaso. Successivamente alla scoperta di nuovi filoni di fluorite il bacino venne invece utilizzato per l’accumulo dei fanghi risultanti dall’estrazione del minerale, con un progressivo innalzamento dell’argine fino all’altezza di 34 metri. Nel 1975, su richiesta del Comune di Tesero, venne eseguito l’unico controllo sulla stabilità degli invasi dal quale emerse che la pendenza dell’argine del bacino superiore era “eccezionale” e la stabilità era “al limite”. Ciò nonostante, la ditta che aveva effettuato la verifica diede al Comune una risposta rassicurante, così le attività della miniera proseguirono e l’argine continuò a crescere, seppure con una pendenza minore. Nel 1985 la struttura formata dai due bacini era alta complessivamente quasi 60 metri e conteneva circa 300.000 metri cubi di materiale di scarto.

Vista dei due bacini di Stava all’inizio degli anni ’80. Foto tratta da Archivio Fondazione Stava 1985

B-Bacini 1985

Alle ore 12:22 del 19 luglio 1985 l’arginatura del bacino superiore cedette e, conseguentemente, pochi momenti dopo crollò anche il bacino inferiore. Circa 180 mila metri cubi di fanghiglia, uniti ad altri 40-50 mila frutto dell’erosione, della distruzione degli edifici e dello sradicamento di centinaia di alberi, viaggiando ad una velocità di quasi 90 km/h, in pochi secondi raggiunsero e cancellarono l’abitato di Stava per poi proseguire la corsa fino a Tesero e all’Avisio. Nei circa tre minuti intercorsi tra il crollo dei bacini e la confluenza con il torrente, la colata di fango causò, come già detto, la morte di 268 persone, delle quali 13 mai ritrovate e 71 i cui resti non fu possibile identificare, la distruzione di 3 alberghi, 53 case, 6 capannoni e 8 ponti. Nove edifici furono gravemente danneggiati. Lo strato di fango, spesso fra 20 e 40 centimetri, ricoprì un’area di circa 435 mila metri quadri.

IMMAGINE ANIMATA dell’evento. Gif animata tratta da WISE Uranium Project

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La Commissione ministeriale d’inchiesta ed i periti nominati dal Tribunale di Trento dopo la catastrofe affermarono che “tutto l’impianto di decantazione costituiva una continua minaccia incombente sulla vallata. L’impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l’esistenza di intere comunità umane. L’argine superiore in particolare era mal fondato, mal drenato, staticamente al limite. Non poteva che crollare alla minima modifica delle sue precarie condizioni di equilibrio”. L’iter processuale per il disastro di Stava si concluse nel 1992 con la condanna definitiva di dieci persone, ritenute colpevoli di disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Si tratta dei responsabili della costruzione e gestione del bacino superiore, dei direttori della miniera e di alcuni responsabili delle società che avevano deciso la costruzione e l’accrescimento del bacino superiore, dei responsabili del Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento, che non avevano effettuato alcun controllo sui bacini, delle imprese che si erano succedute nella costruzione degli stessi e la Provincia Autonoma di Trento che avrebbe dovuto vigilare sul loro operato. Nessun condannato ha scontato la pena detentiva.


VIDEO EVENTO tratto da youtube.com

Zona dei bacini dopo il crollo. Foto tratta da Archivio Fondazione Stava 1985

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Resti dell’Hotel Dolomiti di Stava. Foto tratta da Archivio Fondazione Stava 1985

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La Val di Stava dopo il crollo dei bacini. Foto tratta da Archivio Fondazione Stava 1985

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GEOLOCALIZZAZIONE EVENTO

Fonti:
Tosatti G. (2007): La catastrofe della Val di Stava: cause e responsabilità. Geoitalia, 20:1-5
Fondazione Stava 1985 onlus 

Immagine in evidenza da Archivio Fondazione Stava 1985

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