9 Ottobre 1963. Il disastro del Vajont

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Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso (PN) per confluire nel Piave, nei pressi dell’abitato di Longarone, in provincia di Belluno. Tra il 1957 e il 1963 la morfologia della valle del torrente Vajont venne profondamente modificata dalla costruzione di una imponente diga a doppio arco dell’altezza di 261,60 m e della lunghezza di 190 m alla sommità. Lo sbarramento del torrente avrebbe permesso la creazione di un lago della capacità complessiva di circa 170 milioni di mc, destinato a raccogliere acqua proveniente da tutti i bacini artificiali del Cadore, per poi convogliarla alla centrale elettrica di Soverzene. L’idea dello sfruttamento delle acque del Vajont per la produzione di energia idroelettrica risaliva ad oltre 25 anni prima, ma il progetto stilato dall’ing. Carlo Semenza nel 1929, successivamente modificato ed ampliato, si concretizzò con la SADE (Società Adriatica di Elettricità) che diede inizio ai lavori negli anni 1956/1957. La relazione geologica allegata al progetto della diga venne redatta dal professor Giorgio Dal Piaz, alla quale negli anni seguirono numerose integrazioni. La normativa in quel momento non prevedeva l’obbligo della valutazione della stabilità dei versanti dei futuri invasi e quindi le perizie per la diga del Vajont risultarono sotto questo profilo incomplete. Nel 1959, a lavori quasi conclusi, ed in seguito ad una frana avvenuta il 22 marzo dello stesso anno nel vicino bacino idroelettrico di Pontesei (Forno di Zoldo, BL), la SADE decise di approfondire le indagini geologiche. L’incarico fu affidato, tra gli altri, al geologo austriaco Leopold Müller che si avvalse della collaborazione di due geologi italiani, Edoardo Semenza, figlio del progettista della diga, e Franco Giudici. A seguito delle indagini i geologi Semenza e Giudici ipotizzarono la presenza di una paleofrana posta in sinistra idrografica che interessava il monte Toc (che in friulano, abbreviazione di “patoc”, significa “marcio”). Nella loro relazione definitiva, consegnata nel giugno 1960, essi poi affermeranno che

un’antica massa di frana, larga circa 2 km e di notevole spessore, era presente sul versante settentrionale del Monte Toc, che essa era già scivolata in epoca preistorica a sbarrare la valle e che avrebbe potuto muoversi nuovamente con la creazione del lago”.

Nonostante fosse ormai evidente la presenza di una grande massa instabile il progetto di completamento delle infrastrutture della diga e di collaudo dell’invaso non furono mai fermati. A settembre del 1959 la diga fu ultimata ed iniziarono le prove di invaso, la cui quota prevista a 600 m slm fu poi innalzata a 660 m slm. Dal marzo 1960, a seguito delle continue variazioni di invaso, si manifestò la grande fessura a forma di M lunga oltre 2 km e larga circa un metro. Nel novembre dello stesso anno si staccò una frana di circa 700 mila metri cubi che precipitando all’interno dell’invaso generò un onda di circa 10 metri di altezza. Subito dopo questo evento venne disposto lo svaso controllato del bacino ed i movimenti rallentarono subito fin quasi a fermarsi. Negli anni successivi si procedette ad un secondo (1961) e ad un terzo invaso (1963) che portarono la quota dell’acqua a 710 m slm. Le prove di invaso riattivarono i movimenti della frana, e le fessure iniziarono ad allargarsi sempre più velocemente. Il 26 settembre 1963 si decise di procedere con lo svaso, per evitare il distacco della frana; il provvedimento non ebbe l’effetto sperato, la velocità continuò ad aumentare, fino a raggiungere la mattina del 9 ottobre i 30 cm al giorno. Lo stesso giorno alle 22.39, la frana si staccò. Un volume di roccia di circa 270 milioni di metri cubi, scivolò ad una velocità di circa 70-90 km/h e, in una ventina di secondi l’intera massa raggiunse il lago.

Area della frana
Photo courtesy: A. Pasuto (CNR – IRPI)

L’impatto con l’acqua generò un’onda di circa 50 milioni di metri cubi, che si elevò fino a quota 930 m slm. L’enorme massa d’acqua, si divise in più direzioni: una parte lambì le abitazioni di Casso, un’altra distrusse alcune frazioni di Erto e Casso, e un’altra ancora scavalcò la diga, scalfendola appena, precipitando nella stretta valle sottostante. In pochi minuti circa 25 milioni di metri cubi di acqua e detriti raggiunsero Longarone e la spazzarono via con la quasi totalità dei suoi abitanti. Con Longarone vennero distrutti gli abitati di Pirago, Maè, Villanova e Rivalta (in provincia di Belluno), Frasèin, Col delle Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, Faè e la parte bassa di Erto (in provincia di Pordenone). Vennero distrutte 895 abitazioni, e 205 unità produttive a Longarone, la ferrovia Belluno-Calalzo divelta per 2 km e la SS51 distrutta per 4 km. L’evento dimezzò la superficie a seminativo, e andò perduto il 30% del bestiame. Dal 1964 al 1993 lo Stato ha speso almeno 986 milioni di Euro (attualizzati al 2011). La stima più attendibile è di 1917 morti, 400 dei quali mai più ritrovati.


Veduta aerea del novembre 1963
Photo courtesy: VENET01 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, Commons Wikimedia

Photo courtesy: difesa.it

Disastro del Vajont

VIDEO EVENTO tratti da youtube.com

GEOLOCALIZZAZIONE EVENTO

FONTI
La storia del Vajont, la conoscenza della frana attraverso le foto di Edoardo Semenza. Mostra a cura di AIGA Associazione Italiana Geologia Applicata e Ambientale e Consiglio Nazionale dei Geologi.
k-flash.it/mostra_vajont (Ultima consultazione ottobre 2023)
M.Armiero (2013): Le montagne della patria. Einaudi
vajont.net (Ultima consultazione ottobre 2020)

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